
Scopriamo cosa succede al nostro cervello Un terzo della nostra terra è sopra la fascia dei 1.000m ed il 10% tra i 2.000 e 4.000m slm. Ricerca scientifica e atleti stanno dimostrando che è possibile fare sport ad alta quota e che si può alzare la qualità della vita anche a queste altitudini. La principale difficoltà della vita in alta quota è data dalla diminuita pressione barometrica che comporta una minor pressione dell'ossigeno nei gas inspirati. Il principale effetto di questa situazione (ipossia) è la riduzione delle capacità di lavoro dovuta alla minor possibilità di utilizzare i processi metabolici aerobici per risintetizzare l'energia (ATP) per le attività vitali, lavoro e esercizi. Il tessuto che principalmente soffre l'ipossia non è quello muscolare ma il sistema nervoso, che provoca una diminuzione dell'eccitabilità neuronale e l'alterazione del sonno. La ricerca condotta in Tibet durante la Everest SkyMarathon, ha dimostrato la correlazione tra le variazioni della frequenza cardiaca con la saturazione dell'ossigeno e le alterazioni dell'attività elettrocorticale. Si sono potute escludere patologie permanenti dovute all'attività sportiva in alta quota. Si è riscontrato un indubbio effetto dell'ipossia acuta sul tracciato elettroencefalografico (EEG) indifferentemente della pratica sportiva o dei sedentari. Anzi dopo la maratona a 4.350m certe attività cerebrali erano sovrapponibili a quelle che si verificano a livello del mare dopo un analogo esercizio. La seconda indagine riguarda le alterazioni del ciclo sonno veglia. E' noto che la qualità del sonno può modificare sia la performance fisica che quella intellettuale e molti ricercatori concordano che gli individui non acclimatati in alta quota presentano una riduzione delle fasi 3 e 4 del sonno e la fase REM. L'équipe del Peak Performance Project ha approfondito queste ricerche in cooperazione con Renato Calcaterra, Dr Ivana Gritti e Prof Maurizio Mariotti dell' Università degli Studi di Milano .
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